Il dibattito sul ruolo fondamentale dei premi letterari nazionali è stato più intenso rispetto agli altri anni. Che cosa deve fare un premio letterario? In che misura può essere politicizzato attraverso la scelta del vincitore? Oltre all’analisi della qualità estetica e dell'originalità narrativa, è lecito utilizzare le valutazioni della giuria (longlist, shortlist, titolo vincitore) per lanciare un “segnale”? E cosa significa questo per titoli di narrativa molto validi che magari, a prima vista, sembrano non avere alcun aggancio con l’attualità? Sono domande legittime che ogni anno la giuria affronta in modo diverso. Anche se alla fine bisogna decretare un vincitore, la selezione dei titoli della longlist e della shortlist rappresenta questo dialogo tra i libri e gli operatori del mondo editoriale. Dal dialogo di quest'anno sono emerse diverse cose.
Il trend della "letteratura della migrazione" sembra essere un po’ in declino, ma non a scapito del tema stesso della migrazione. Più che altro, lo sguardo sul tema si è allargato e ha assunto un respiro più universale. E questo grazie a diverse forme di autofiction, un genere ancora fortemente rappresentato. I romanzi di Sylvie Schenk, Necati Öziri, Anne Rabe, Wolf Haas e Angelika Klüssendorf (così come quello di Kim de l'Horizon dello scorso anno) presentano uno spettro di analisi delle proprie origini più ampio rispetto a quello di qualche anno fa. La migrazione gioca un ruolo decisivo in tutti i testi. La migrazione dalla Francia alla Germania nel caso del romanzo "Maman" di Schenk; quella dalla Turchia alla Germania per "Vatermal" di Öziri. Angelika Klüssendorf e Anne Rabe indagano la migrazione all'interno di diverse Germanie. Dai vari sistemi antidemocratici (il fascismo tedesco e il socialismo della DDR) alla BRD post-riunificazione con i suoi eccessi di violenza xenofoba negli anni Novanta. Appartengono a questa categoria anche testi più sperimentali, come "Birobidschan" di Tomer Dotan-Dreyfus, un romanzo giocoso su un oblast autonomo al confine con la Cina che, per un breve periodo Stalin, designò per gli ebrei dell'Est.
© Fischer, Haas, Oziri, Schachinger
È stato emozionante per me constatare che quest'anno un altro scrittore israeliano è riuscito a conquistare il cuore delle giurie dei premi letterari tedeschi. Con Tomer Gardi ("Eine runde Sache", Droschl Verlag), vincitore del Premio della Fiera del Libro di Lipsia 2022, la letteratura tedesca contemporanea si è arricchita del punto di vista e del linguaggio di un ebreo israeliano residente in Germania. Il suo romanzo comprendeva tutto: storia letteraria e arguzia ebraica, storia culturale tedesco-ebraica, originalità linguistica nel gioco di contrapposizioni tra ebraico, yiddish e tedesco, straordinaria presenza di spirito nei dialoghi e nelle ambientazioni.
© Praeauer, Rabe, Schenk, Sterblich
Tuttavia questa Fiera del Libro non era sottoposta a pressioni forti solo in materia di politica estera. In precedenza si erano consumate aspre battaglie sul terreno dell'interpretazione della storia nazionale. Alla vigilia della fiera, con i loro libri, Anne Rabe ("Die Möglichkeit von Glück") e Charlotte Gneuss ("Gittersee") hanno scatenato controversie su quale sia la valutazione appropriata della DDR e del periodo successivo alla caduta del Muro di Berlino. Le polemiche si sono concentrate soprattutto sull'approccio letterario "più adatto" degli autori più giovani. Le domande sollevate dagli autori più anziani erano le seguenti: Come si può o si deve ricordare "adeguatamente" la DDR e le sue ripercussioni negli eccessi di violenza degli anni successivi alla caduta del Muro? Quali contesti familiari aveva alle spalle chi ha lasciato la DDR? In che modo gli intrecci tra famiglie fedeli al sistema e famiglie dissidenti dovrebbero essere studiati più da vicino, e a quale scopo? Che cosa ha a che fare tutto questo con la schiacciante popolarità di un partito populista di destra nei cosiddetti Neue Länder?
Quest'anno un numero cospicuo di libri ha indagato – spesso con il tema delle origini nel bagaglio narrativo – il rapporto madre-figlia: Anne Rabe, Angelika Klüssendorf, Charlotte Gneuss, Necati Öziri e Terézia Mora fanno i conti con madri egocentriche o stressate, talvolta perfino sadiche. Nel suo incantevole romanzo di formazione, Elena Fischer ("Il giardino del paradiso") inventa la figura di una madre eroica che, da genitore single in una casa popolare, lotta per mantenere un atteggiamento positivo nei confronti della vita, mentre Wolf Haas ("Eigentum") riflette sulle condizioni di vita di sua madre, morta in età avanzata, che, come figlia degli anni dell'inflazione, aveva interiorizzato i concetti di povertà e austerità.
© Gardi, Gneuß, Dotan-Dreyfus
Per concludere, vorrei fare un’osservazione sullo stile letterario che ci ha attratto e convinto come giuria. Molti dei libri da noi selezionati celebrano una forma eccezionale di comicità. Tragiche storie di vita vengono presentate sotto una veste comica, diventando così chicche di tragicomico. Di conseguenza il Deutscher Buchpreis di quest'anno evita qualsiasi pericolo di moralizzazione unidimensionale. Questo vale soprattutto per i libri di Tomer Dotan-Dreyfus, Necati Öziri, Benjamin von Stuckrad-Barre, Teresa Präauer, Ulrike Sterblich, Elena Fischer, Wolf Haas, Tonio Schachinger e Tim Staffel, che si occupano di squilibri sociali commentandoli con tono comico. Struckrad-Barre parla di sessismo strutturale nelle aziende di comunicazione, Öziri di razzismo come causa del fallimento dell'integrazione, Dotan-Dreyfus delle prospettive ebraiche nella diaspora. Präauer illustra la tendenza borghese alla spettacolarizzazione, Sterblich gli abissi dei social media, Fischer il classismo. Nel romanzo di Staffel, ambientato nel vivace quartiere di Kreuzberg a Berlino, si concentrano molti di questi temi tutti insieme. Tonio Schachinger è riuscito nell'impresa di scrivere un romanzo sul trauma educativo e sulla società austriaca con echi bernhardiani, spietato dal punto di vista analitico ed estremamente spiritoso al tempo stesso. In molti dei titoli selezionati, l'umorismo non è solo il carburante della narrazione, ma anche l'espressione di una visione del mondo simpaticamente non dogmatica che ci ha colpito in questi tempi turbolenti e ci ha anche fornito nuova linfa vitale come antidoto all'apatia dilagante.
Katharina Teutsch (portavoce della giuria del Deutscher Buchpreis 2023)
Katharina Teutsch è giornalista e critico culturale. Scrive, tra gli altri, per Frankfurter Allgemeine Zeitung, die Zeit, das Philosophie Magazin e Deutschlandradio Kultur. È membro della giuria del Leipziger Buchpreis.
Traduzione di Maria Carla Dallavalle
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