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Leggere in tempi di pandemia

Oelker, Gümüsay, Fouroutan, Kapitelman
© Oelker, Gümüsay, Fouroutan, Kapitelman

La cartella digitale con i circa 500 titoli presentati ogni anno per il Premio della Fiera del Libro di Lipsia è una specie di specchio in cui si riflettono le tendenze, ma anche le pseudo-tendenze – ossia i calcoli degli editori e le pie illusioni dei critici letterari – della stagione. Inoltre, quest’anno è stato caratterizzato da un importante dibattito sui requisiti che devono avere i libri degni di essere insigniti di un premio. Da un lato, la didattica e l’attivismo sono ormai entrati a tutti gli effetti nel settore letterario; dall’altro, per controbilanciare la politicizzazione della dimensione letteraria viene tenuto alto il vessillo di una letteratura ermetica.

Così, l’anno scorso come quest’anno, sia la shortlist che la longlist del Premio della Fiera del libro di Lipsia hanno visto la presenza di titoli che hanno beneficiato parecchio della convinzione di essere elementi necessari del dibattito sociale nel suo insieme. Quest’anno nella categoria Non-fiction è stato nominato Die Schönheit der Differenz, dove la giornalista di Francoforte Hadija Haruna-Oelker da una parte introduce al gergo dell’attivismo delle cosiddette person of color e dall’altra intende fare proseliti in questo ambito. Anche nella selezione 2021 figurava un libro simile, Sprache und Sein di Kübra Gümüsay (edito in Italia con il titolo Lingua e essere), che sensibilizzava a un uso più consapevole del linguaggio quotidiano, soprattutto per quanto riguarda le persone di origine straniera. Entrambi i testi sono intesi come interventi attivisti nel dibattito sociale, e vivono proprio di questo. Spesso tuttavia hanno un carattere personale e superficiale, non fondato su basi scientifiche. Anche Die postmigrantische Gesellschaft. Ein Versprechen der pluralen Demokratie di Naika Foroutan è stato oggetto di un dibattito intenso.
 

Bryla, Bazyar, Wenzel, Sanyal © Bryla, Bazyar, Wenzel, Sanyal

Lo stesso trend tematico è proseguito nella categoria Fiction. L’anno scorso la rosa dei finalisti comprendeva Dmitrij Kapitelman, Kaśka Bryla, Shida Bazyar (Drei Kameradinnen è stato nominato anche per il Deutscher Buchpreis), Olivia Wenzel e Mithu Sanyal, cinque autori che trattano di razzismo e/o attivismo antirazzista in Germania. Quest’anno i libri selezionati dalla giuria si riallacciano allo stesso discorso, e lo fanno con autori come Senthuran Varatharajah, Sasha Marianna Salzmann, Fatma Aydemir, Katerina Poladjan, Slata Roschal, e naturalmente Tomer Gardi, il vincitore della categoria.

In questa riflessione si riconosce il desiderio di delineare un quadro della società più “vario” rispetto a quello emerso finora dal panorama letterario di lingua tedesca. A questo proposito, vale la pena di ricordare che fino a nemmeno dieci anni fa eravamo ancora alla ricerca di un maggior numero di donne tra gli autori premiati. Un desiderio che, nel giro di qualche anno, si è trasformato in un dato di fatto. Nel complesso, infatti, la selezione è diventata più giovane e più femminile. L’anno scorso, tra i nominati della categoria Belletristica, oltre a Christian Kracht c’erano soltanto donne! E anche quest’anno, la quota rosa tra i candidati della shortlist è piacevolmente alta. La stessa cosa potrebbe accadere con l’espansione della “zona di battaglia” del mondo letterario a tutte le varietà di temi, lingue e tradizioni migranti. Le nuove prospettive sono un grande arricchimento per la letteratura germanofona, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione della cultura tedesca all’estero.
 

Varatharajah, Aydemir, Poladjan, Salzmann © Varatharajah, Aydemir, Poladjan, Salzmann

Tuttavia va specificato che non tutti i titoli su cui si dibatte al momento sono capolavori. Molti hanno certamente grandi qualità per il modo accattivante e divertente, oppure sconcertante e drastico, in cui presentano le questioni. Nel contempo, però, spesso hanno ancora il neo di essere opere scritte da debuttanti. Molti di questi libri raccontano storie di migrazione più vicine al reportage giornalistico che alla riflessione poetica. In termini di atmosfera lasciano poco spazio all’immaginazione e tendono a scandire i loro messaggi sociopolitici in maniera ostentata. Il dire sostituisce il mostrare, l’indignazione sostituisce il dialogo letterario, il che, talvolta, conferisce ai testi una certa dose di prevedibilità. E questo è il punto nevralgico di ogni autovalutazione della critica letteraria che, almeno quest’anno, ha suscitato un importante dibattito all’interno della giuria: Cosa vogliamo premiare? Ciò che è giusto o ciò che è buono?

Oggigiorno la critica letteraria è felice quando può conciliare le due cose, quando riesce a “spegnere” l’espressività, spesso fin troppo diretta, con l’ermetismo. Quest’anno, per esempio, c’erano diversi autori di cui sono state individuate e celebrate le modalità narrative “d’avanguardia”. A tal proposito va menzionato Dietmar Dath che, nel suo romanzo Gentzen oder: Betrunken aufräumen, entrato nella rosa dei finalisti, applica i principi della matematica avanzata al tempo della narrazione e allo stesso tempo pratica una critica al capitalismo. Non vanno poi dimenticati i saggi, talvolta incentrati su temi inconsueti, della poetessa Uljana Wolf, che si occupa di etica della traduzione portandola a un elevato livello di riflessione teorica ed è stata premiata nella categoria Non-fiction. La stessa vincitrice della categoria Traduzione, Anne Weber, era in lizza con un libro di Cécile Wajsbrot che affronta in modo piuttosto elitario le questioni della leggibilità e della traducibilità del mondo. Heike Geissler ha scritto un romanzo che analizza come sia possibile avere una coscienza politica al giorno d’oggi, quando si è simultaneamente incastrati dagli ingranaggi della maternità, della famiglia, della quotidianità nel tardo capitalismo e nel capitalismo digitale, in una giostra di valori che gira sempre più rapidamente. In Die Woche, che lo si voglia o no, si torna sempre istintivamente al lunedì. Un romanzo interessante che descrive la vita di una donna nella Lipsia di oggi e che si presenta come un compendio di loquacità, ma che lascia poco spazio all’atmosfera e vive piuttosto di dibattiti.
 

Dath, Gardi, Wolf,  Weber © Dath, Gardi, Wolf, Weber

Infine, con Rot (Hunger) di Senthuran Varatharajah, nel turno preliminare si è discusso di un romanzo che mescola le reali vicende del cannibale di Rothenburg con un’esperienza di migrazione e una storia di sesso autodistruttiva. Un’opera che, inoltre, pone l’accento su questioni politiche attraverso una gabbia grafica piuttosto libera e una prosa associativa. Il risultato è certamente ambizioso dal punto di vista formale, ma anche piuttosto pretenzioso.

Tutt’altro discorso vale per il vincitore del Premio della Fiera del Libro di Lipsia nella categoria Narrativa, Tomer Gardi, scrittore di origini israeliane e residente da anni in Germania che in Eine runde Sache trasforma un tedesco tanto imperfetto quanto incantevole in una lingua letteraria, strappando così una nuova e giocosa sfaccettatura al tedesco.

La produzione editoriale di quest’anno comprende anche titoli che non rientrano in nessuna delle due tendenze – attivismo o estetica dell’autonomia – e che intendono lasciare un’impronta personale. Tra questi, Ein von Schatten begrenzter Raum di Emine Sevgi Özdamar, un memoir esteticamente compatto e alienato nel surreale che si svolge tra Istanbul, Berlino e Parigi. Fin dall’inizio della sua carriera, Özdamar è stata annoverata nel genere della Migrationsliteratur e, come decana di una letteratura di matrice turco-tedesca, riflette magistralmente il ruolo che le è stato assegnato. Tra l’altro, nel romanzo anche la città di Parigi fa una memorabile apparizione come luogo di desiderio intellettuale degli anni ’80.
 

Hoffmann, Özdamar, Geissler, Meier © Hoffmann, Özdamar, Geissler, Meier

Con Christiane Hoffmann, attuale vice portavoce del governo federale nonché corrispondente estera di lunga data per la “FAZ” e lo “Spiegel”, la shortlist conta anche un’autrice di saggistica che racconta una storia di migrazione perfettamente riuscita. Il suo libro si intitola Alles, was wir nicht erinnern. Zu Fuß auf dem Fluchtweg meines Vaters. Ripercorrendo la via di fuga del padre, che nel 1945, ad appena nove anni, fu espulso dalla Slesia, da una parte Christiane Hoffmann affronta il trauma irrisolto che ha segnato la sua famiglia; dall’altra, delinea un efficace reportage sulla provincia in Polonia e in Repubblica Ceca. Leggendolo si impara moltissimo sulle fratture e sugli abissi ideologici che dividono l’Europa oggi, e viene approfondito anche il rapporto tra Russia e Ucraina. E, ancora una volta, si cerca di rendere narrabili le difficoltà e i postumi delle esperienze dei rifugiati. Un libro molto attuale, scritto da un’autrice colta che ha tante cose da dire.

Nella rosa dei finalisti non è rientrata invece un’autrice che mi sta particolarmente a cuore. Si tratta di Angelika Meier che, con Die Auflösung des Hauses Decker, ha scritto un romanzo sulla cultura della vecchia Repubblica Federale Tedesca che trasuda sagacia e intelligenza. Un’artista precaria viene pregata di liquidare la villa del suo defunto padre, un professore, nella regione della Ruhr, e, nel farlo, entra in contatto con tutti i fantasmi della generazione del ’68. Un libro che racchiude un po’ di Kafka, un po’ di Beckett, un po’ di gergo dei K-Gruppen (organizzazioni comuniste di ispirazione maoista) e tantissimo di Angelika Meier.

Un testo altrettanto degno di nota è Eine andere Epoche di Ulf Erdmann Ziegler, che si concentra sui membri della classe politica berlinese degli ultimi anni. Al centro, gli scandali che hanno coinvolto l’ex Presidente Christian Wulff e sua moglie Bettina, nonché i cosiddetti “delitti del Bosforo” (una serie di omicidi eseguiti tra il 2000 e il 2006 ai danni degli immigrati turchi in Germania) e il caso di Sebastian Edathy, deputato del Bundestag costretto a dimettersi poiché accusato di pedopornografia. Uno spaccato della mentalità di un’epoca che oggi ci appare stranamente avulsa dalla realtà.
 

Erpenbeck, Ziegler, Franck, Roschal © Erpenbeck, Ziegler, Franck, Roschal

​​​​​​​ In questa stagione editoriale viene rappresentata anche la vita nella DDR grazie ai titoli di due autrici molto conosciute. I romanzi di Jenny Erpenbeck (Kairos) e Julia Franck (Welten auseinander) sono entrambi modellati dalle sottocorrenti politiche legate alle loro origini. Julia Franck narra la storia di un’infanzia senza legami trascorsa fra gli eccentrici artisti della Berlino Est. Jenny Erpenbeck descrive l’amore opprimente e perverso tra un grande intellettuale di Berlino Est e una studentessa. Entrambe le scrittrici vivono lo sconvolgimento politico anche a partire dalle verità evidenti delle rispettive generazioni.

Per concludere, non posso non consigliare 153 Formen des Nichtseins. Fra i testi che trattano di esperienze migratorie in Germania, spicca l’innovativo e spiritoso romanzo d’esordio di Slata Roschal, nata a San Pietroburgo nel 1992, che presenta 153 approcci eterogenei all’esperienza dell’estraneità completamente privi di tensioni attiviste. Un bel romanzo a frammenti di un’autrice che certamente farà parlare di sé.


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